Meno uno

Meno uno! - cumbrugliume

E così sono giunto alla fine.

E’ stato un gran piacere e una gran fortuna passare questo tempo a tu per tu con Mario.

Un tempo privilegiato e, con lui, pieno di soprese.

La più grande di tutte? Questa : avere l’ennesima conferma che per quanto si legga e si rilegga il Diario di un uomo felice, si trovano sempre non una, non due, ma una infinità di cose da dire. Basta sturarsi le orecchie e mettersi un attimo in ascolto: arriva tutto, forte e chiaro. E con un suono sempre nuovo.

Un tempo di Avvento con lui.

E’ stato un tempo forte due volte.

Adesso, l’attesa è finita.

E’ come se Mario mi avesse portato per mano, davanti a quella culla vuota.

Ancora per poco.

Poi, si sa com’è, quando nasce un bambino. Un’attesa lenta, che va in crescendo; poi tutto di colpo si mette in moto, e tutto succede, tutto precipita, tutto ti travolge, fino a quel vagito sospirato e liberatorio.

E , da quel momento, il tempo delle parole finisce e si proiettati in un dinamismo autonomo, che ti coinvolge e ti obbliga a rimodellare tutto della tua vita precedente.

Questo per ogni bambino che nasce. Figurarsi con questo Bambino!

( Sempre che io ci creda, però. Se no tutto è destinato a finire in soffitta dopo l’Epifania. )

Meno uno a Natale.

Ciau Mario, alla prossima.

Meno due

meno-due - Calcio Vicentino

Ci risiamo.

Ne hanno riconosciuto un altro.

Rosario Livatino, giudice, è stato riconosciuto martire in odium fidei.

Come Mario.

Come una schiera di molti, moltissimi altri.

Prima osservazione: personalmente, sarei tentato di dire troppi altri. E, se ci fosse qui Gesù in persona ad ascoltarmi ( ammesso che io avessi avuto la tigna e il coraggio di seguirlo di persona) mi beccherei a questo punto una reprimenda fulminante, tipo il vade retro, Satana, che si è preso in pieno muso il povero Pietro quando, davanti al Rabbi che prefigurava la sua fine, si era messo a protestare: questo non succederà mai...

Niente. La parola martirio non mi va giù. Mi è indigesta, faccio di tutto per girarci intorno.

Questo perché mi rendo benissimo conto che NON E’, NON PUO’ ESSERE qualcosa che riguarda altri, e da cui io mi chiamo implicitamente fuori. Che c’entro io? Sono mica un santo, io! Ma questa è una cretinata perfetta. Santi non si nasce, lo si diventa. Martiri non lo si è in quanto santi. Semmai, puo’ essere vero il contrario. Quindi bisogna che mi ci abitui, che ci lavori sopra, che mi adatti all’idea. Gesù Cristo mi sceglie, e mi manda. A fare che? A essere suo testimone nel mondo. E che cosa fanno i suoi testimoni nel mondo? Danno la vita per lui. Punto. Dare la vita è la sostanza della cosa, il nocciolo della sequela.

Fortunatamente, a pochi è chiesto di dare il sangue; ma la vita, nel senso di propri giorni, della propria esistenza, sì. Rinnega te stesso, prendi la tua croce, seguimi. Cosa NON mi è chiaro, in queste chiarissime parole? Bisogna che mi dia una svegliata decisa.

Seconda osservazione. Si dice: La chiesa cammina sulle gambe dei martiri. Vero. Ma occhio, che io questa frase la uso come un alibi per starmene fuori dalla mischia.Del tipo: ok, la Chiesa cammina sulle gambe dei martiri, io non lo sono, dunque la Chiesa cammina senza bisogno di me. Retropensiero primo: mica sono un martire io, figurarsi. Retropensiero secondo: cosa vuoi che la Chiesa abbia bisogno proprio di me? Ma figurati! Così me ne posso star tranquillo.

E invece, mi spiace darmi una brutta notizia su tutta la linea: sì che lo sono, martire.

No che non me ne posso stare tranquillo.

Sono un martire, nel senso letterale di testimone. Non esiste un cristiano senza la testimonianza. E la testimonianza NON E’ mai fuffa parolaia: o è vissuta, o non testimonia un tubo.

E la Chiesa, nel mio specifico e piccolissimo mondo, ha bisogno esattamente di me. Ci sono persone che se non raggiungerò io, nessuno potrà raggiungere allo stesso modo. Proprio come Mario con i suoi hmong. Dunque, non me ne posso assolutamente stare tranquillo.

Mario e Rosario erano ( sono!) due giovani, anche se Rosario aveva una decina d’anni in più. Entrambi, da strade diverse, sono arrivati alla stessa conclusione di vita. Che non è stata casuale, in nessuno dei due casi. Piuttosto, in entrambi i casi, una conseguenza possibile e messa in conto molto per tempo. Nessun fanatismo: consapevolezza e crescita. Col senno di poi, e un pizzico di agiografia, si potrebbe dire che le loro vite intere sono state un Avvento, una preparazione costante all’incontro, reale e definitivo, con il loro Signore.

Che queste considerazioni diano fuoco all’ultimissimo scorcio del mio Avvento banalone.

Due giorni al Natale.

Meno tre

ERRICO CALCIOTTO: MENO TRE, SI AVVICINA LA GARA DI RITORNO

“Dio è amore! Dio ama e ci ama in tutte le maniere, ogni momento della giornata” (2 dicembre 1957).

Mario – nell’Avvento del 1957 – connota il suo e nostro Dio, e ne specifica in chiosa i connotati.

Dio è amore“, è cosa altissima: teologia e filosofia pure.

Ma, appunto, cosa molto e finemente teorica, seppur di una teoria santa.

Mario preferisce, con uno dei suoi consueti agganci alla realtà, ancorarsi ben bene a terra, e dettaglia con precisione tre punti.

Primo: Dio ama.

Secondo: Dio ama noi.

Terzo: ci ama in tutte le maniere in ogni momento della giornata.

Traduco.

Anche quando io non amo.

Anche quando io no LO amo.

Anche quando io non Lo amo, in tutte le maniere in tutti i momenti della giornata.

Di piu’, di più.

Anche se io non amo.

Anche se io non Lo amo

Anche se io non Lo amassi, in nessuna maniera, in nessun momento della mia giornata.

Bene….tutto questo perde di peso. (Anche se è in grado di farmi un male cane)

Perché certamente non sono io a essere amore.

Ma Dio, sì.

E inizia a dimostramelo a Betlemme.

Tre giorni al Natale.

Meno quattro

meno quattro giorni all'uscita... - Gianluca Capozzi | Facebook

Lo so.

Tra pochissimo è Natale, e a Natale bisogna riconoscere la luce che viene nelle tenebre, si deve accoglierla con gioia piena e profonda, e quella luce e quella gioia vivere e testimoniare.

Ma la luce, puo’ essere anche quella di una candelina tremolante. Tanto più fitta è l’oscurità, tanto maggiore sarà il suo effetto illuminante. E la gioia puo’ anche essere qualcosa che assomiglia molto poco alla gioia comunemente intesa: che se uno ha il cuore piagato, assai difficile la possa sperimentare e men che meno esprimere. Puo’ esserci la ” gioia” garantita, per dir cos’, dalla fede. Lo scommettere, il credere che per quanto grande sia la pena che ti affligge, non solo c’è un Dio che ti promette una eternità beata, ma che – cosa assai piu’ importante e calda, a mio modo di vedere- viene a condividerla con te, quella tua stessa pena. Una gioia che a me ricorda piuttosto la consolazione, intesa non solo come balsamo che lenisce l’anima, ma in senso letterale: la scoperta di non essere soli sotto il peso che ti schiaccia.

Dico subito: anche girandola in questo modo, “la frittata” non è semplicissima da fare. Per dire: Gesù in persona, quella gioia e quella consolazione ha dovuto faticare per trovarla, tanto da gridare ” Dio mio, perché mi hai abbandonato?” L’ha fatto Cristo, posso non farlo io? Dico questo non per giustificare me e il mio giudizio. Ma per rispetto e vicinanza all’immensa folla della gente che soffre intorno a me, intorno a noi, e che – come mi diceva non più tardi di ieri una signora in ospedale- trova magari il Natale “intollerabile” (inteso come periodo dell’anno e come atmosfera esteriore), avendo suo marito ricoverato gravissimo da alcuni giorni e con prospettive incerte.

Voglio dire che con Gesù Cristo non si scherza, e quando si parla di accettazione e di sequela, bisogna aver ben ben chiaro che cosa significhi e a che cosa quella accettazione e quella sequela porteranno. Mario, che lo aveva chiarissimo, ne parla con lucida oggettività fin dalle pagine più precoci del suo Diario. E non perchè è un santo, ma perché è onesto con se stesso. E va via via affinando la sua maturazione, e, di pari passo, il suo “Eccomi!” .

Quindi va benissimo intenerirsi davanti al bambinello, ma senza scordare che la venuta di quel bimbolino è puntata dritta come una freccia al monte Calvario. E’ come per Maria: la promessa di una maternità inconcepibile del Salvatore, si accompagna alla profezia precocissima della spada che le trapasserà l’anima. Per questo, non ci si balocca con il Natale di Gesù: e occorre il massimo rispetto davanti alle persone nel dolore che non lo sentono, questo Natale, non lo vogliono, non vogliono nemmeno sentirne parlare. Allora bisognerà non insistere, magari; non parlarne, magari; non far nulla, magari : se non inventarsi il modo per essere loro vicini, per essere loro con-solatori, per essere la loro incomprensibile fiammellina nel buio più totale. Cosa assai più impegnativa e coinvolgente che non ripetere due giaculatorie e distribuire un bel santino.

Se si trovasse qualcuno arrabbiato, ma proprio incavolato nero per quel che sta vivendo, arrabbiato con tutti, con la vita e specialmente con Dio, non bisogna né scandalizzarsi, né aver paura.

Ha detto papa Francesco : “ Dio chiama ogni giorno ed esorta a dire «Eccomi», ma non ci sono «ordini», si può anche «discutere» con Lui. Addirittura litigare: «A Lui piace discutere con noi. Qualcuno mi dice: “Ma, Padre, io tante volte quando vado a pregare, mi arrabbio con il Signore…”: ma anche questo è preghiera! A Lui piace, quando tu ti arrabbi e gli dici in faccia quello che senti, perché è Padre! Ma questo è anche un “Eccomi”… O mi nascondo? O fuggo? O faccio finta? O guardo da un’altra parte? Ognuno di noi – termina – può rispondere: come è il mio “Eccomi” al Signore, per fare la Sua volontà sulla mia vita. Che lo Spirito Santo ci dia la grazia di trovare la risposta”

La persona che soffre: quella è per me capanna, natività, Dio che viene nel mondo.

Meno quattro a Natale.

Meno cinque

Meno cinque al voto. La situazione a Petrosino e Trapani

E poi, niente.

Arriva il giorno in cui ti senti gravare addosso tutto il peso delle cose della vita e della sofferenza di chi ti sta vicino. Non è certamente il primo giorno, e probabilmente non sarà l’ultimo. Dovrei averci fatto l’abitudine,

Ma ci sono pesi che, col tempo, si accrescono in modo esponenziale, forse perché si assottiglia la capacità di resistenza e di sopportazione nel vederli, nel viverli senza poterci fare nulla. Perché vedi, Signore: ci sono sofferenze mie, sulle quali posso eventualmente ragionare e decidere roba ( ammesso che ne abbia la voglia e la forza) e ci sono sofferenze altrui, ma mie lo stesso, mie di specchio e di rimbalzo, mie di vita, su cui non posso far nulla; se non quello che è toccato in sorte a Maria, povera donna, povera madre, ai piedi della croce. Sofferenze subìte, contemplate, assisitite. Eppure intimamente, completamente mie.

Allora, come si fa a farle tacere, a pensare a qualcosa di diverso e altro, fosse anche qualcosa di bello e spiritualmente alto ( tematicamente parlando) come la novena di Natale?

Non si fa. Non si riesce. Quello che si puo’ fare è parlarne comunque, anche se la cosa non sarà edificante e forse nemmeno ortodossa. D’altro canto, mi viene da pensare, non è che il Natale – quello vero, quello del Signore – si sia portato via le sofferenze del mondo intero, e dunque, non si porta via nemmeno le mie. Il Signore viene nel mondo, oh sì che viene. E continua a venire. Ma il male e il dolore restano qui. Anche dopo le sue guarigioni. Anche dopo i suoi miracoli. Anche dopo la sua vittoria sulla morte e la sua Risurrezione. Dunque tenerLo presente, parlarGli, riconoscerLo, quando si è nel mezzo del dolore, e si annaspa in cerca di una boccata una(!) di speranza, fosse anche solo per gridargli contro la propria protesta o il proprio rancore, o la propria desolazione, è pure questa una testimonianza di fede. Magari molto terrena, molto prosaica, molto umana: ma io non ne so dare un’altra.

Il fatto è che ho smesso da un pezzo di domandarmi come mai un’anima bella, un’anima forte, un’anima limpida come i suoi occhioni – che mi fregano sempre – possa avere avuto in sorte tanta sofferenza : sempre crescente , sempre nuova, sempre un po’ di più. Ho smesso, sì. Non per chissà quale saggezza, ma per puro spirito di sopravvivenza: a forza di tirar testate contro muri incrollabili ( si chiamino scienza, filosofia, dio o Dio), anche uno zuccone come me capisce che ci si spacca la testa e non si cava altro. Ma quello che, ogni volta, torna a riempirmi di stupore e di domande è come mai quell’anima, sotto ogni martellata ripetuta, resti così’ bella, così forte, così limpida. E quegli occhioni, porco cane, restino così misteriosamente luminosi.

Così, posso solo seguire l’esempio di Mario che tutto scriveva nulla tacendosi e nulla tacendo, anche nel dolore.

Domani sarà sicuramente un altro giorno, e spero sia un poco più lieve.

Meno cinque a Natale.

Meno sei

Anna - MENO SEI GIORNI. Anna Tatangelo 🎼 #annatatangelo #newsingle  #newmusic #newvideo #music ♥️ | Facebook

Il quarto giorno della novena di Natale.

Apro la pagina che mi fa da traccia in questo periodo, e mi trovo sotto il naso queste parole

“4° GIORNO della Novena di Natale: RENDERE TESTIMONIANZA”

Dunque, Mario è perfetto nel tema.

Diremmo, in linguaggio nostro: un perfetto testimonial della testimonianza.

Ci viene portato ad esempio, in questa tappa, Giovanni il battista:”La missione propria di Giovanni Battista è quella di “rendere testimonianza” a Cristo. Egli compie questa missione nella verità e nell’umiltà (“non sono io il Cristo… non sono degno…”), esortando tutti alla conversione e additando Gesù come Salvatore e “Agnello di Dio”.

Il che calza magnificamente anche su Mario.

Con una differenza, che io amo moltissimo.

Quel sant’uomo di Giovanni era certamente tale, e pieno di infuocata fede: ma con il suo stare nel deserto, col suo vestirsi di peli di cammello e con il suo cibarsi di locuste e miele selvatico, proponeva una testimonianza certamente forte, ma anche parecchio fuori dal mondo e dalle cose.

Mario, al contrario, è e resta nel mondo ( seppure quello “fuori”, della missione in Laos, della lingua sconosciuta, della solitudine in territori immensi) e nelle cose ( la scrittura, la musica, la sensibilità artistica). Anche se tutto, del mondo e delle cose, assume una connotazione, un peso e una densità diversa, alla luce del suo rapporto primario e costitutivo della sua esistenza con Gesù Cristo. Veramente davanti alle parole del suo Diario, ne vengono in mente altre: ” Ecco, io faccio nuove tutte le cose“.

Insomma. Giovanni, sia detto col massimo rispetto, prima di tutto mi spaventa; Mario, prima di tutto, mi conquista. Occhio. Non perché mi conquistino il suo sentire e le sue scelte: ma per come lui le vive entrambe. Mario, che pure non desiste mai dalla sua testimonianza – che in questo diventa per davvero eroica – non si nasconde momenti ripetuti di cedimento, di debolezza, di sconforto, di paura. La cosa forte è che per quanto veri e forti possano essere, non scalfiscono mai la fede testimoniata nel suo Signore. Quindi: non è importante il petto gonfio e l’invincibilità da Batman cristiano; al contrario, è importante la sua debolezza, la sua fragilità, la sua tenuta che viene vissuta come precaria. Ora, tanto piu’ è forte la consapevolezza di tutto questo e il provare frequentemente tutto questo , tanto più giganteggia la fede di quest’uomo, che con queste armi umanissime e normali si misura con sfide di Vangelo purissimo quali missione, testimonianza, appunto, martirio di sangue.

Il nocciolo di questa impostazione sta in una piccola frase lapidaria, che Mario si ripete spesso

tutto quello che mi fa male, è mio”.

Partendo da qui, non c’è desolazione, sconforto, demoralizzazione, scoraggiamento che tengano. Perché non è il “mio” , che conta – che viene spazzato via senza alcun riguardo- ma Dio.

Io ho provato a ritagliarmi addosso questo modo di vedere le cose, ma quello che sembra funzionare alla perfezione nelle pagine del Diario, quando provi a vivertelo addosso brucia, e urtica e ti scuoia vivo nel profondo del tuo ego e del tuo benedetto orgoglio. Puoi anche arrivare a dirlo e a scriverlo anche tu, tutto quello che mi fa male , è mio, ma dentro di te scoppia una tempesta di riserve mentali, retropensieri, esclusioni, “sì …ma”, “beh”, “adesso non esageriamo”, che cerca immediatamente di smussare e anestetizzare l’affermzione e il suo realizzarsi. Sradicare me da me stesso, quanto puo’ essere doloroso e innaturale: interviene una specie di istinto di sopravvivevnza e di conservazione di te.

Allo stesso modo, va detto che ci vuole una fede gigantesca, quando hai fatto qualche passo nella considerazione spassionata dei tuoi limiti e del male che hai amorevolmente nutrito da sempre, (cammuffandolo d’altro, si capisce), a avere fede che Dio possa davvero aver deciso di avere bisogno di te, e abbia per te un compito e una missione specifica e irrinunciabile.

Ecco che arrivi di nuovo lì: al bivio io / dio. Ma è un bivio farlocco, tutto nostro.Tutto mio.

Uno legge Mario e capisce che Dio ha una fede in noi almeno pari a quella che noi dovremmo avere in Lui.

Meno sei a Natale.

Meno sette

Vivi il mare con noi: * - 7 al tuffo!

…per mantenere i propositi bisogna pregare e molto e bene.” ( Mario Borzaga)

Sì, questo l’ho capito anche io.

Tanto che alla fine, ho smesso di farne, di propositi.

A forza di farli baldanzoso e di rinunciarci mogio mogio con la coda fra le gambe, ho piantato lì. Cavoli, è anche una questione di orgoglio. E il mio orgoglio ( mascherato) è inversamente proporzionale alla mia forza di volontà. Dunque, basta propositi.

Ma senza propositi ( che poi vuol dir senza obbiettivi spirituali) dove vado? Torno al galleggiamento a vista.

Manca la chiave di accesso, mi spiega Mario. Pregare.. Ma non solo! “e molto, e bene“. Et, et. Preciso e esigente con se stesso come sempre, il Borzaghino.

Io invece, spesso e volentieri rinunciatario, imprecisissimo e alla carlona quanto mai.

Due strade divergenti.

Eppure, Mario me la insegna, la preghiera.

Il suo Diario è una lunghissima preghiera ininterrotta. Perché non c’è pagina che non sia scritta in dialogo con Dio. Neppure una. Anche quando, faccio per dire, Mario racconta i fatti della Missione, li racconta sempre in faccia a Dio e in colloquio personale con Lui. Anche quando parla della sua preghiera ” istituzionalizzata” (Sante Messe, breviario, esercizi, uffici) ne parla a Dio. E gli parla di ogni cosa: pratica e spirituale, bella e brutta, santa e di peccato.

Di solito, il Diario è un soliloquio con se stesso, o è un forma di artificio letterario, praticata come veste per parlare agli altri. Per Mario, no. Il Diario è una spessissima lettera, extra large: d’amore , per giunta.

La mia preghiera, quando c’è (!) , è al contrario smozzicata, chiusa, interessata, contingentata, a blocchi.

Soprattutto è ripiegata su se stessa. Ma il dialogo, in questo modo, diventa un dialogo tra sordi. O meglio, tra un sordo e un Altro che ci sente benissimo, e capisce anche se io non mi spiego, e non gli parlo affatto. Solo che io, non me ne curo. Parlo e parlo e parlo io. Mi parla Lui? Eccome. Ma io non lo sto a sentire. Dove sei? gli dico a gran voce mentalmente. E mi scordo di starmene un po’ zitto, e di sforzarmi di cercarla e di ascoltarla, la sua voce.

Direbbe Bartali: j’è tutto sbagliato, tutto da rifare.

La cosa buona è che Dio, a differenza di me che ne ho pochissima, ha una pazienza infinita.

Come Lui.

Meno sette a Natale.

Meno otto.

È iniziato il conto alla rovescia su facebook | San Giorgio AGES

Decisamente bisogna decidersi: non c’è tempo da perdere.” ( M.Borzaga)

Devo imparare da Mario la forza della decisione.

Ha ragione lui.

Tempo ne ho perso fin troppo. Sempre, e da sempre. Ne ho perso e lo perdo.

Anche adesso, anche oggi, anche qui.

Lo perdo senza saperlo, senza volerlo, senza rendermene conto.

Ma anche sapendolo, volendolo, rendendomene conto benissimo.

Eppure, io lo so che l’unica cosa che veramente mi fa ricco è il tempo che mi è dato. Lo so non per merito e sapienza, ma per grazia, gratuita e immeritata, per una porzione di quella grazia che , inaudito, piove costantemente anche sulla capoccia di un grezzone come me. Grazia non richiesta ( ben altre cosucce e carabattole sono capace di chiedere come “grazie”) grazia non voluta, magari ( altre ne vorrei) , grazia non avvertita, se non a tratti, a lampi.

Bene. Questo è uno di quelli: il tempo è mia ricchezza.

Ha un unico inconveniente, il tempo. Che passa via. Che se ne va. Sai che novità. Appunto.

Quanti natali ho lasciato che si accumulassero sulle mie spalle, senza che io cambiassi di una frisa?

Quella grazia – talmente inconcepibile da accostare al mio nome, da riempirmi di imbarazzo al solo nominarla, eppure non saprei a che perifrasi ricorrere – quella grazia l’ho lasciata scivolare, rimbalzare : al massimo un po’ di tenerezza, un po’ di commozione, un po’ di bontà a buon mercato, di quella ” a natale ci si sente tutti piu buoni”… e natale lo scrivo qui con la minuscola, perché io l’ho vissuto in minuscolo, tutto terreno, tutto orizzontale, tutto piatto piatto. Poi, passata la festa, disfatto l’albero, smontato il presepe,via: tutto inscatolato e ficcato in soffitta.

Il Natale per primo, beninteso.

Tempo buttato a vagonate.

Ma non è quello che mi sorprende o mi amareggia. Piuttosto mi spaventa la certezza che, se nulla faccio, capiterà anche quest’anno e- ammesso che ce ne siano altri – succederà lo stesso anche in futuro. Fammi capire: Dio viene sulla terra, diventa un uomo in carne e ossa come me, e io ci mangio sopra il panettone e brindo? Non è il panettone o il brindisi il problema: e che tutto si ferma lì.

Ma insomma: io ci credo veramente , che Dio si è fatto uomo? O mi fermo alla cartapesta del presepe? Perché se ci credo veramente, neanche le catene più massicce possono trattenermi dal cambiare. Non per volontarismo, perché lo voglio io. Ma figurati, io l’ho sempre voluto: a parole, blablabla. Che ci vuole? E non son mai cambiato, nei fatti.

No, non perché lo voglio io. Ma perché se io credo, se io ci credo, non posso che com-prendere, ri-conoscere, contemplare: è questo che agisce, lavora, che mi puo’ cambiare e mi cambia.

Io devo mettere di mio la decisione: di fermarmi, ascoltare un annuncio ( che credo di sapere a memoria, povero beota, e di cui non ho mai capito un’acca ” col cuore”) , mettermi in moto e andare a cercare dove è nato per me il Salvatore.

Dove è nato, e dove è nato per me.

Qui, adesso, Natale 2020.

Credo di saperlo, ma evidentemente non lo so.

E’ il mio credere di sapere, il mio stanco ripetere parole e gesti e riti , che devo mettere in soffitta. E , questa volta, prima del Natale, e una volta per tutte.

Dio in persona ha scelto di nascere bambino e di dover imparare tutto, da zero, dell’essere vero uomo. Se io ci credo, non posso che fare lo stesso e ri-nascere, ri-partire, ri-cominciare insieme a Lui. Quanti ” ri” , santa pace, che fatica e che paura. Ma l’opposto dei ” ri”, è rimanere al palo. E lì restare, in saecula saeculorum.

Decisamente devo decidermi: non ho più tempo da perdere.

Meno otto a Natale.

Meno nove

Esplosione a Sanremo, Garko disperato: volevo salvare quella donna -  Radionorba

Non c’è piu’ tempo, non c’è piu’ tempo.

Siamo alla Novena, il Natale è alle porte.

Bisogna che stringa, che concluda, che metta nel mirino la meta.

Vorrei imparare da MARIO la consapevolezza.

Essere consapevole di quello che mi circonda, essere consapevole della mia strada, essere consapevole di come sono io .

Quello che mi circonda : un NATALE che non è uguale agli altri. Non puo’ esserlo. Non deve esserlo. Un Natale di emergenza e di cose cambiate, di priorità rovesciate, di falsità svelate. Molto più amaro e molto meno lieto, ma mooooolto più vero e rispondente all’originale. Il Natale di Maria e Giuseppe è una storia di difficoltà, sofferenza ed emarginazione, annegata in un mare di indifferenza generale. Il castello zuccheroso di lucine & c. glielo abbiamo costruito sopra, soffocando quel che è stato. Recuperarlo, recuperarlo. Viverlo, viverlo.

La mia strada: se questo Natale è questo ( e lo è), io non posso essere come prima. Pena il gettare tutto nel cestino della carta straccia: Avvento, attesa, preparazione, venuta di Cristo in terra. Io non sono cristiano per galleggiare come una boa , per tirare a campa’. Io – come tutti – sono stato scelto: parola di Vangelo. Non voi avete scelto Me, ma Io ho scelto voi. E chi è scelto, non lo è per galleggiare, ma per essere mandato. Pure io, bestione come sono. La domanda è: a chi, a fare cosa, in questo tempo di pandemia? Attraversarlo “facendo finta di niente” è una cosa da babbei di serie A.

Come sono io: Mario docet. Gli obbiettivi possono anche esserci ed essere chiari, ma se non faccio una operazione verità durissima e continua su me stesso, produco crusca, faccio teatro, insomma concludo un tubo. Bisogna che io sia ben lucido nel tenere presente tutti i miei lati negativi, che non getti a mare quei pochi positivi, e che, soprattutto, gli uni e gli altri li butti in braccio a Dio. Se li tengo per me, sai che pasticcio, che ciappettio inutile, che ciarlare a vuoto, che niente di niente.

Meno nove a Natale.

“Anche se qualcuno morirà, pazienza”?!

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Questa frase non è un titoletto provocatorio.

E’ stata effettivamente pronunciata ieri, in un pubblico convegno.

Non si tratta di una constatazione filosofeggiante, del genere ” la morte è certa per tutti”.

No, no: è inserita in un ragionamentino niente male.

Come sapete ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di restringere ulteriormente. Questo significa andare a bloccare anche un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi e lo stanno rimettendo nuovamente in ginocchio . Io penso che le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero, alla fine, venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Ma così, secondo me, diventa una situazione impossibile per tutti”.

Non ha importanza chi abbia pronunciato la frase. Interessante è il ragionamento: che parte dal ” Natale magro “( il Natale che diventa un indicatore economico a tutti gli effetti, insomma) per arrivare alla accettazione “bonaria” del fatto che qualcuno morirà.

Dice: ma quel qualcuno sono sessantamila persone e oltre. Evidentemente, non ha importanza alcuna.

Come si sentiranno quelli che stanno lottando per un sorso d’aria negli ospedali, in questo momento? E le loro famiglie? Presuppongo che siano, legittimamente, altroché ” un po’ stanche della situazione“. Ma la loro sofferenza, la loro ansia, la loro lotta silenziosa e senza nome, in che modo ” rialzeranno il retail”, e compagnia a briscola?In nessun modo.

Dunque, pazienza. Che si muoia. E quel qualcuno veleggerà con vento in poppa verso il 70., 80, 100 mila.

Questo è quello che succede a trattare tutto come cifre, morti compresi. Succede che le cifre sono oggettive e aride. Un decimale di pil è un numero esattamente come una persona. Dunque, le cifre sono asettiche, e permettono – assolutamente – ogni esortazione alla “pazienza se…”!

Mi son ventute in testa, leggendo queste incredibili dichiarazioni, le parole di Mario riportate l’altro giorno, sul fatto che ” passiamo le giornate per impedire l’Avvento del Signore“. Bingo.

Eccoci qua, eccolo qua l’esempio di giornata, servito fresco fresco.

https://www.ilrestodelcarlino.it/macerata/cronaca/coronavirus-guzzini-confindustria-1.5818340