AMICI & FRATELLI

Un colpettino sulla spalla! — Dr. Antonio Panico - business coach

Un film di gran successo di qualche anno fa aveva per titolo ” Quasi Amici “.

Bene: nel caso di Mario e dell’Uomo della croce, possiamo togliere senz’altro il quasi.

Non vado a cercare (e a citare) una frase al riguardo: tutto il Diario di un uomo felice , dal titolo alla fine, ne è prova e dimostrazione. Di più : lo è l’intera vita del Borzaghino.

Occhio: questa non è retorica sdolcinata.

Niente di meno retorico dell’amicizia.

Gli amici sono me.

Senza gli amici la mia vita sarebbe una galera.
Gesù stesso ci ha chiamati amici. Così c’è un senso specifico e nuovo, cristiano, per questa relazione che è comunque importantissima per tutti: ” non c’è amore piu’ grande di questo: dare la vita per i propri amici”.

Non a caso, lo slogan che accompagna l’ostensione della Sindone è ” L’Amore più grande“.

Che ribaltamento e che rivoluzione di rapporti.

Non soltanto qualcuno che ti fa star meglio e che ti accompagna nel cammino: qualcuno con cui e per cui tu ti senti di passare , spendere e regalare il tuo tempo e la tua vita, mentre lui fa la stessa cosa con te e per te.

E non importa tanto che si sia simili od uguali.

Io ho molti amici grandi e veri che , ad esempio, sono atei e molto diversi da me in tutto: saperci così, accettarci , sforzarci di capirsi, essere certi e stupiti di una buona fede perfetta e opposta…eterne dicussioni notturne, continue prese per i fondelli, provocazioni a manetta: ci si vuole molte bene e si è unitissimi. Nessuno si sposta di un micron, ma tutti ci si butterebbe nel fuoco per l’altro.

L’amicizia ci mette sotto il naso il modo di amarci di Dio, almeno del Dio di Gesù Cristo. Un modo che vale per tutti.


Io non sono capace di pensare niente di piu’ cristiano di questo, dire a un mio amico: sei proprio mio fratello.

QUO VADIS?

Quo Vadis Consulting

Sono qua: a camminare con Mario. Per andare a lasciarmi incontrare da un misterioso lenzuolo vuoto. Un testimone silenzioso eppur parlante. Racconta infatti di una morte certa e di una Risurrezione da credere.

Da credere, sì.

Dal suo Diario, Mario mi dimostra quello che io, confusamente, sperimento ogni giorno, ma non son capace di approfondire. “Io credo” non è una questione risolta, ma è una camminata continua, una battaglia mai finita, un work in progress quotidiano. La fede bruciante di Mario, lui la versa quotidianamente negli stampi sempre diversi delle sue giornate e delle sue nottate, dei suoi luoghi e delle sue solitudini, delle sue azioni e delle sue parole. E non sempre ottiene quelle forme che si aspetterebbe, che vorrebbe, che si era prefisso.

Dire ” io credo ” è certamente una gran cosa…ma poi? Dove mi porta? Dove mi sta portando?

Da Lui? Lui c’è, nella mia storia? In quella di Mario, faccio per dire, Gesù è talmente presente che è impossibile cercare di portare a casa una sola pagina delle sue parole prescindendo da Lui. Da me, che succede?

Ogni tanto è bene chiederselo spassionatamente, in che cosa si crede per davvero. Lasciar perdere le risposte preconfezionate che la tradizione, il catechismo, la dottrina, la teologia e quant’altro mi mettono a disposizione, e chiedersi in tutta franchezza: vabbè. Ok. Ma , a parte tutto questo, io, io, in cosa, in Chi credo?
E ci credo per davvero?
Tutta sta roba c’è nella mia vita?
O è tanto bel bla bla, sentimentale, culturale, ideologico, poetico, filosofico, religioso…ma sempre fumosissimo bla bla?
Faccio per dire: un conto è riempirsi la bocca con la parola ” amore “, un conto è viverla, per esempio in un matrimonio. Un conto è strologare di amicizia, un conto è essere amico tutti i giorni di una persona in carne ed ossa, difetti e pregi inclusi. Nei primi casi, siamo al piano del principio, e posso scriverci sopra pagine immortali e libri interi, ma sempre teoria resta. Nei secondi casi, è vita vera.

Senza di Lui: questo è il vero rischio.


Essere religioso, religiosissimo, ma senza di Lui. Un rischio quotidiano . Prende corpo in tutti quei casi in cui tengo Dio in gran spolvero e ne faccio un gran parlare, ma poi il mio cuore e la mia esistenza se ne vanno da un’altra parte. O quando Lo tengo al centro, ma non Lui, quanto l’immagine di Lui che mi sono fatta. Una maschera di Dio, costruita a mia immagine e somiglianza, che mi modifico a piacimento e a misura mia . O quando Lo tengo in considerazione, ma sempre rapportato a me, alle mie esigenze e ai miei bisogni. Una mia appendice, insomma, possibilmente pronta e sollecita all’intervento.


Religioso, religiosissimo , e senza di Lui.


Come Mario, devo dirmi tutto. E allora: forza. Sotto sotto, non è che sono io il vero dio di me stesso?
Nel bene e nel male, al centro del mio mondo, ci resto io. Lui/Dio, insieme a tutti gli altri, richia di restare un punto ( e non sempre tra i piu’ importanti) della circonferenza della mia storia. Ma il centro, inamovibile, resto io.
Ecco spiegato il fatto che, anche dopo ogni esperienza concreta di Lui, anche dopo ogni incontro ravvicinato con Lui, anche dopo ogni Settimana Santa, anche dopo ogni Pasqua, niente, l’acqua si richiude come dopo il sasso gettato nello stagno, torna la palude , uno se ne dimentica ( quella pagina fondamentale di Mario dove parla del “dimenticarsi” di amare!!!) , tutto torna come prima, e si vivacchia come se niente fosse accaduto.


Una trappola e una fregatura , responsabile di tante delusioni, frustrazioni, rabbie, tristezze d’animo.

Senza di Lui, appassisco.

Dove vado, allora? Dove sto andando?

Finché continuerò a cercare Gesù nelle riserve indiane dei “luoghi della fede“, e basta; alla rassicurante ombra del campanile, e basta, facendo del resto del mio tempo un’attesa scaldabanco tra un pellegrinaggio e l’altro, tra una Messa e l’altra, tra un gruppo e l’altro, io non lo troverò. Perfino la Parola, se la lascio confinata al tempo della meditazione (?, il punto interrogativo è dedicato a me) resta una parola come tante.


Gesù mi aspetta fuori.

-e non nel senso minaccioso in cui queste parole venivano dette da ragazzi promettendo botte….per quanto, se continuo nel mio letargo, qualche buona botta, chissà…

UOMINI & DIO

Uomo Della Siluetta A Braccia Aperte Immagine Stock - Immagine di carefree,  religione: 82090589

Sì’: questo è un pellegrinaggio. Piccolo finché si vuole. Virtuale finchè si vuole. Ma pellegrinaggio: che vuol dire mollare tutto – almeno per i pochi minuti che servono per queste parole – uscir fuori da me stesso, riconoscere e incontrare Mario che cammina già da un prezzo sulla strada e andar per strada con lui. Non per vagabondare senza meta, certo. Al contrario: verso un traguardo preciso, un incontro preciso, con un nome ed un cognome.

Quel traguardo si chiama Sindone, davanti a cui pregheremo il Sabato Santo, e mi porta dritto a Gesù Cristo.

Mario è un compagno formidabile, uno che ha marciato una vita, gambe in spalla e mai fermarsi. Cristo costantemente nel mirino, a regolare i battiti del cuore e gli slanci dell’anima, a contare i passi e poi a smettere persino di contarli. A forza di passione e di amicizia, di desiderio e di amore, lo sappiamo: Uomo della Sindone lo è diventato lui pure.

La Sindone ha questo, di prodigioso veramente. Niente più di quel telo scompagina e ribalta i nostri schemi consolidati nel rapporto tra Dio e l’uomo. Chi è Dio, e chi è l’uomo, lì davanti?Dio fatto uomo” smette di essere una affermazione teologica, te la trovi sbattuta sotto il naso dalla realtà di quel lenzuolo, niente di più concreto che si possa immaginare. Eppure quello che è stato avvolto lì ( o in un lenzuolo come quello ), indubitabilmente uomo perché indubitabimente morto, E’ DIO, che vive, che risorge, che ci salva.

Questo è avvenuto una volta sola, e per tutti, e per sempre. Ma questo non mi esime dalla mia strada. Io non sono qui solo per credere, per ricordare, per contemplare, per adorare ( se e quando mai ci riuscissi). Mario docet. Io sono qui perché scelto (!) e chiamato(!) a seguire.

Sono io, oggi, che posso concepire e generare viva la parola di Dio… o decidere di abortirla e sostituirla con la mia pappetta.
Il mondo intero, la gente che mi vive accanto, ha bisogno di me, come io e loro abbiamo bisogno di Maria: adesso, e nell’ora della morte, fisica o spirituale che sia.
Fermo , inetto e malato dentro come sono, sono mandato a portare Gesù tra gli altri. E sono spedito a cercarlo e ad amarlo, con il mio corpo e con la mia anima, là dove si trova: e io so benissimo dove, come lo sappiamo tutti, è Lui che ce l’ha detto. Ci stiamo andando insieme, a trovarlo, a ricordarcene, a verificare di persona, proprio adesso.
Basta paure, e basta fregnacce.
Le braccia spalancate del nostro amico sulla croce rendono lo schifo e l’oro che mi toccano ogni giorno vita vera , piena di Dio, gloriosa e degna. Questa vita è oro e schifo, è paradiso già qui e un mezzo assaggio di inferno, ed è TUTTA VITA DEGNA.
Degna la maternità, degno il matrimonio, degna la malattia, degna la debolezza, degno il dolore, degna la morte.
Solo la croce di Cristo illumina la storia e pure questa mia ulteriore settimana santa che mi è stata concessa, e spiega e da senso al mio amore, alla mia amicizia, alla mia allegria, alla mia voglia di fare casino,di stare insieme, di ridere e scherzare e fare festa e trasforma e salva la mia meschinità, la mia cattiveria, la mia insensibilità, la mia bestialità, il mio male.
Questa mia vita , scassata come quella di tutti, imperfetta e dolorante come quella di tutti, bellissima e faticosa come quella di tutti, è vita voluta da Dio, è Dio, perché Dio ha voluto vivere la mia stessa vita e piantare la sua stessa vita sulla croce.
Per questo non esiste , non esiste, non esiste un momento schifoso e duro così schifoso e così duro che non mi lasci il tempo di fare una cosa: spalancare anche le mie di braccia, e unire le mie mani a quelle altre crocifisse, e trasformare tutta questa robaccia in un pezzo intero di salvezza.
Sai che c’è? Magari mi aspettano ancora cento settimane sante, magari questa è l’ultima sul pallottoliere, e, francamente, non saprei cosa augurarmi. Ma questo, per fortuna, non è un problema mio.
Il mio problema è: una o cento, spalancare una buona volta le mie braccia…

DOLOROSISSIMA BELLEZZA

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Dice: che titolo esagerato.

Per niente.

Abbiamo portato piede nella settimana cruciale dell’anno, per chi è cristiano.

Dalle Palme, alla Passione, alla morte, alla Risurrezione.

Una settimana che ha mandato completamente per aria la vita ( la vita intera) di chi era con Gesù, allora.

Da Maria agli Apostoli.

Dall’effimera illusione degli osanna al silenzio segregato della tomba di Giuseppe di Arimatea.

In mezzo? L’impensabile, l’indicibile. La fine di tutto, e l’inizio di un altro Tutto. Completamente da costruire, e questa volta, in prima persona, senza rete, senza ripari. Con Lui , ma senza più la sua presenza.

La domanda è: a me, alla mia storia, questa domenica, questa settimana, cosa butta all’aria?

Azzardo, così, alla carlona, data l’esperienza storica pregressa: niente.

C’è qualcosa che non quadra.

Prendi Mario, per esempio. Lui su questa settimana ha giocato la sua vita ( e la sua morte). Quante volte tornano nelle pagine del suo Diario, passione morte e risurrezione, non solo “di Nostro Signor Gesù Cristo”, come recita la liturgia, ma sue? Ho un bel dire: anche io ho incontrato Cristo. E allora? Anche il giovane ricco del Vangelo , l’ha incontrato : quello del ” Signore buono!” e del ” dimmi, che devo fare?” , salvo poi tornarsene a casa mogio mogio per non volere cambiare vita per davvero e fino in fondo. Il fatto è che Mario è fatto della pasta di Pietro, Giovanni, Giacomo, Tommaso; della pasta di Maria di Giuseppe e della Maddalena. Io sono collega di pasta del ricco giovane e rischio di far la stessa fine: ” se ne andò triste” .

Per davvero e fino in fondo. La chiave sta tutta lì.

Il vangelo batte e ribatte, martella.

Rovesciamento.

Rivoluzione.

Rinnegamento di sé.

Non esiste un cristianesimo del buon senso, delle mezze misure, del “sì, ma”.

Difatti, nelle parole di Mario non ci trovo nessuna delle tre cose.

Io, al contrario, ne sono talmente peno, che manco me ne accorgo.

Come la mettiamo? La mettiamo che il mio è un pastrocchio pasticciato, non un essere cristiano. Un vestito che mi faccio con le mie mani, e che metto e tolgo, a capriccio, alla bisogna, o anche solo quando mi va. Mi puo’ dare tuttalpiù “un’aria” da cristiano. Ma cristiano, per che cosa? Per il tempo di una sfilata?

La bellezza di un cristiano non è quella di un indossatore, ma quella di un volto ferito.

Perché allora, di volti feriti, nel corpo e nell’anima, ne incontro così pochi?

Perché ho così paura che sia il mio volto a diventare ferito?

Perché ho così paura, quando capita che lo sia, di mostrarlo per quel che è?

Ho in mano un libro ” di elevazione spirituale e meditazione sul Vangelo”.

Non c’è una sola immagine, delle oltre 50, tutte rigorosamente strapatinate e banalissime, che ricordi la sofferenza. Ci sono profili al tramonto, visi di bimbo, mani intrecciate, voli di svariati pennuti, mari rocce cieli nubi a non finire, danzatrici sulla rena, vette innevate. Di tutto. E tutto perfettamente intercambiabile con una qualsivoglia campagna pubblicitaria televisiva: manca solo lo slogan.

Sarebbe questa l’idea della beatitudine del Vangelo?

Si dirà: è per dare un senso di serenità e bellezza.

Appunto: come il mulino bianco.

Niente mulini bianchi, da Mario. In compenso, per sua ammissione, l’essere “un uomo felice”.

Che sovrappone la sua immagine, fino a compenetrarla e a diventare tut’uno, con quella dell’Uomo della Sindone.

Che è di una dolorosissima bellezza.

Morale. La croce del vangelo non rasserena per niente e non attira nessuno.

MA MI LIBERA E MI SALVA.

La strada per la beatitudine passa solo da lì.